Intervista a   MARCO BARTOLOMUCCI  di Fulvio Spagnoli

www.ilcorto.it - Marco  Bartolomucci sceneggiatore

Fulvio: Marco Bartolomucci, autore, montatore, sceneggiatore,...

Idee chiare, voglia di vivere la sua dimensione a prescindere da tutto. Scavando nella sua personalità scoviamo una persona preparata e dalle convinzione che il suo mondo interiore debba essere mostrato agli altri. È il classico esempio che l’abito non fa il monaco…
 

Marco: Sono laureato in “letteratura, musica e spettacolo” alla Sapienza; ora sto facendo uno stage come assistente operatore …e ne farò degli altri per esempio nel montaggio… si, mi interesso anche di montaggio: qualcosa ho fatto, nell’ambito del videoclip, anche matrimoni …uno deve anche mangiare in qualche modo…e poi lavoro in una videoteca: insomma vivo intorno all’immagine. Sono anche appassionato di teatro dell’assurdo: ho scritto una sceneggiatura ove, durante le recite, c’erano delle proiezioni.

Però mi hai detto che ti presenti come sceneggiatore.



Io vivo una passione per il cinema a 360°: l’interesse è cominciato verso durante gli studi della storia e critica del cinema e del processo storico dagli albori ad oggi: la tesi l’ho fatta sulla produzione italiana del cinema indipendente; sono passato attraverso il digitale e “dogma 95”; poi ho analizzato i film dei registi indipendenti.
Credo fermamente che il cinema industriale necessiti di un’alternativa: …basta guardare dove l’industriale ci ha portato. Un anno fa ho organizzato a Cisterna di Latina un cineforum presentando un discorso un po’ particolare: passando per il Neorealismo, novelle Vague, facendo vedere film di registi ai più sconosciuti; cosa molto importante, nei dialoghi è emersa la impellente necessità di una rieducazione dell’occhio dello spettatore.
 
Non mi sento di interromperlo: fila liscio come l’olio
 
Scrivere, per me, consiste nel riuscire a convogliare la propria fantasia con la visione per immagini: la narrativa è un conto, ma scrivere quello che nella testa ti scorre, come un rullo impresso da immagini, come se il film che è già nella mente, in tutti i suoi particolari, compresi le indicazioni di regia, quali i movimenti di macchina. Lavorando sul set, soprattutto in auto produzione, si può incappare in problemi: quanto si ha disposizione non coincide con quanto si vorrebbe, o meglio si avrebbe bisogno, compreso il materiale umano. Io concepisco il set come “work in progress”: un esempio? …una volta sul set mi sono trovato a fare piccole modifiche non previste nello story-board; ma queste hanno migliorato di molto il mio lavoro. A proposito: in qualche corto ho fatto anche l’attore…
 
È concentratissimo e continuo a non disturbarlo…
 
Lo sceneggiatore ed il regista, quando non sono la stessa persona, per collaborare proficuamente devono viaggiare sulle stesse onde, altrimenti non si arriva a quanto si vorrebbe. L’ideale sarebbe che questa figura coincida: credo nella collaborazione nel fatto cementata da un minimo di interesse nelle stesse cose, un minimo di sentiero da percorrere insieme: è l’unico modo per arrivare ad un prodotto migliore di quello creato da una testa sola. A me è successo: un lavoro interessante; eravamo simili, e ciò ha contribuito anche ad abbassare i tempi di lavorazione.
Mi è capitato una volta di scrivere un personaggio su un attore che poi ha lo recitato: è interessante da un lato ma è anche limitante perché quello è il punto di riferimento. Preferisco scrivere il personaggio a prescindere. L’ho fatto perché mi interessava chi lo avrebbe recitato: mi davano stimoli le sue caratteriste …ed in quel caso non ho sentito il limite. Mi piace scrivere perché, principalmente, mi sento un osservatore ed un rielaboratore di quello che ho osservato …e vissuto.
 
Non considero affatto L’Italia a livello cinematografico. Quello che vedo è ben poco; ho apprezzo qualcosa nell’ambito del cinema indipendente, dell’auto prodotto, tipo Silvana Agosti, Franco Diavoli, Sorrentino …che per me è molto interessante, Matteo Marrone. Purtroppo in Italia il cinema viaggia sull’industriale, ossia sulla cassetta … i contenuti sui ripetono, si riprendono vecchi film, vecchie idee …soprattutto manca originalità. Ci sono delle bune idee e non vengono messe in luce perché non fanno cassetta.
Il cinema indipendente ha il limite di non avere i soldi, anche se oggi per fare i film non ce ne vogliono molti: è recentissima la testimonianza di Venezia ove è stato presentato un film che è costato 500 Euro: il buon cinema si fa con le idee e non con i soldi. L’idea sta alla base: il contenuto ha la sua importanza, ma il problema è come è viene detto; …oggi bene o male è stato detto tutto.
A me piace narrare il visionario, se vogliamo David Lynch: mi piace raccontare delle storie che abbiano collegamento con la realtà, ma anche con il sogno, la memoria, il ricordo…l’immagine dovrebbe essere concepita come una raccolta di quello che è l’essere umano a 360° e non come la fiction che  racconta il quotidiano ed alla fine li si ferma.